venerdì 23 dicembre 2011

Capodanno a Roma all'Allegro Pachino!

Per un Capodanno diverso dal solito, quest’anno scegli l’atmosfera calda e familiare di un’osteria nel cuore della Capitale, dove festeggiare in allegria l’arrivo del nuovo anno!

Ti aspettiamo in occasione del Capodanno però, con un menù davvero speciale!

Il Cenone si apre con un aperitivo di benvenuto, seguito da un ricco antipasto con carpaccio di salmone al pepe rosa, carciofo alla romana e una freschissima insalata di mare.

Per quanto riguarda i primi piatti, potrai gustare due specialità: ravioli ripieni di cernia e risotto alle erbe aromatiche.
A seguire, i secondi piatti: filetto di orata al forno con patate novelle e fettine di filetto in salsa di mirtillo, intercalate, come da tradizione, da un gustoso sorbetto al limone.

L’intera cena può essere gustata sorseggiando dell’ottimo Chianti o Pinot Grigio, direttamente selezionati dalla cantina dell’Osteria.
Il Cenone si conclude con il dessert e un buon caffè, che ti aiuterà a goderti il resto della nottata più bella dell’anno!

A questo punto non ti resta che prenotare online il Cenone completo al prezzo esclusivo di € 90,00 (bevande incluse): Prenota qui!
Oppure chiama il numero 06 69925682 e riserva il tavolo migliore.
Per maggiori informazioni visita il sito www.osteriaallegropachino.com

martedì 6 dicembre 2011

La nostra cucina vegetariana raccontata da una cliente

Sono molte le persone che per migliorare il proprio stile di vita, per etica o semplicemente per gusto scelgono di diventare vegetariane. E questo spesso comporta dei disagi nel momento in cui si decide di andare a mangiare fuori, sia perche’ gli amici non vegetariani potrebbero aver voglia di una bella bistecca al sangue, sia perche’ non tutti i ristoranti in Italia tengono conto di possibili avventori vegetariani.

cucina_vegetariana_zuppaDa neo vegetariana conosco bene il problema. Mio marito e’ un carnivoro convinto, e ama molto la carne alla griglia e la cucina romana. Alcuni giorni fa eravamo alla ricerca di un ristorante dove cenare gustando piatti tipici romani. Non sapendo dove andare ci siamo fatti consigliare da alcuni amici. Il ristorante in questione si trovava a una ventina di chilometri, ma ci siamo avventurati pregustando l’ottima cucina casereccia tanto decantata.

Arrivati, una scritta mi fa presagire di aver fatto tutta quella strada invano: “Specialita’ carne alla brace”. Confidando in una scelta piu’ vasta ci siamo ugualmente diretti all’interno per chiedere informazioni. Il cameriere, costernato, mi comunica che nel menu’ non c’era un solo piatto senza carne. Perfino i primi prevedevano l’utilizzo di carne per la preparazione.

Sbalordita, e anche un po’ delusa, ho trascinato fuori dal ristorante un marito riluttante che mi fulminava con lo sguardo, maledicendomi per le mie scelte alimentari. Abbiamo girato per altri quaranta minuti alla ricerca di un ristorante che poteva soddisfare i gusti di entrambi. A quel punto ho pensato: “Possibile che un vegetariano non possa mangiare cucina casereccia senza imbattersi in guanciale o lardo?”

Eppure sono tantissimi i piatti tipici della cucina romana in cui non e’ previsto l’uso della carne. Basti pensare alla concia di zucchine, ai carciofi alla giudìa, o anche alle penne all’arrabbiata, e come dimenticare la buonissima cicoria ripassata. Insomma i piatti ci sono, forse quella che manca e’ un’attenzione dei ristoratori a chi non mangia carne. Basterebbe aggiungere un’insalata al menu’.

Per questo mi piace l'Osteria Allegro Pachino a Roma. Il loro menu’ infatti e’ ricchissimo di piatti della tradizione che sia i vegetariani classici sia i vegani possono mangiare, mentre gli amici carnivori si abbuffano di carbonara e abbacchio allo scottadito, a un passo dalla fontana di Trevi.

La Fontana di Trevi nei film

“Lei mi spoglia con gli occhi. Spogliatoio!”. Resta indubbiamente questa la battuta più celebre di “Totò truffa”, esilarante pellicola del 1961 di Camillo Mastrocinque, comunque ricca di gag, battute e fantomatiche situazioni escogitate dall’impareggiabile Totò De Curtis, nel film in perenne combutta con Nino Taranto. Il raggiro che rimane scolpito nella storia del cinema comico italiano è, però, quello riferito alla vendita della Fontana di Trevi.

La più grande e la più celebre fontana di Roma (e forse del mondo), progettata nel settecento da Nicola Salvi e che sorge – trionfo di barocco e classicismo – nel cuore pulsante della capitale, a far da incantevole sfondo alla vita diurna e notturna generata dalla miriade di uffici, negozi,  locali e ristoranti che l’attorniano. Cento lire per ciascuna fotografia scattata. Questo è l’introito che può dar linfa alle casse di colui che è proprietario della maestosa fontana nella quale Fellini fece tuffare nel 1960 Anita Ekberg per la sua “Dolce Vita”.

E così l’inebetito turista americano si fa abbindolare dal geniale Totò che – spacciandosi per proprietario e venditore – un attimo prima era andato a chiedere (come prova del suo diritto) un obolo solidale ad un turista che immortalava la fontana di Trevi. Bottino finale: cinquecentomila lire (caparra intascata prima di dileguarsi) e ricovero psichiatrico urgente per il povero turista che reclamava ai vigili il compenso che i turisti gli negavano.

Le fontane romane: ecco una delle cose che numericamente può essere competitiva con le trattorie ed osterie che pullulano nella città eterna. Ed anche qualitativamente: perché se in osteria si mangia benissimo ed allegramente, le fontane sono altrettanto obiettivamente una più bella dell’altra. In piazza di Spagna la Barcaccia di Gian Lorenzo Bernini, quella del Tritone in piazza Barberini e le due di piazza Navona (dei Quattro fiumi e del Moro), per restare all’opera del grande scultore napoletano. Il Fontanone in cima al Gianicolo, le Quattro fontane sulla via omonima all’incrocio con via del Quirinale, le fonti di piazza Farnese, quelle di piazza San Pietro, la fontana delle Naiadi di piazza delle Repubblica. Possono bastare? Forse è solo la crema di una straordinaria città che è ricca di fontane e... di sorprese.

Il pepe nero: origine e diffusione nella cucina romana

I Romani furono i primi in Occidente a servirsi delle spezie, molto popolari in età imperiale ed utilizzate anche nel periodo successivo alla decadenza dell'Impero, per tutto il Medioevo.

Inizialmente gli ingredienti con i quali venivano insaporite le pietanze erano soprattutto miele e aceto con un predominante gusto agrodolce mentre con bacche, erbe e radici venivano create salse aspre o piccanti. Successivamente furono importate dall'Oriente le spezie che rivoluzionarono in maniera decisiva la cucina dell'epoca.

Gli Arabi introdussero lo zucchero di canna con gli agrumi che sostituirono il miele e l'aceto e attraverso i mercati delle spezie di cui avevano l'appannaggio, rifornirono i vari territori fungendo da collegamento tra l'Europa e l'Oriente. Nell'immaginario collettivo, si pensava che le spezie crescessero sugli alberi del Paradiso Terrestre tanto erano diverse e strane agli occhi di chi vi si avvicinava per la prima volta.

Molto costose, potevano essere utilizzate solo da persone appartenenti a un ceto sociale piuttosto alto che potevano permettersi di acquistare alimenti freschissimi e consumarli immediatamente con le preziose erbe aromatiche, che per venivano aggiunte alle pietanze all'ultimo momento. Il pepe, introdotto nel I secolo D.C. ebbe un successo immediato e straordinario.

I Romani costruirono addirittura dei depositi, i granai del pepe, per conservare questa spezia così particolare ed esotica. La pianta rampicante del pepe che tanto sapore aggiunge e dona alla nostra cucina, proviene dalle foreste tropicali dell'Asia. Dopo il crollo dell'Impero Bizantino, gli Arabi furono costretti ad abbandonare il controllo del mercato del pepe alle Repubbliche Marinare, in particolare a Venezia. La ricercata spezia bruna acquistò uno Status Symbol tale che in alcuni periodi superò persino il valore dell'oro. Il pepe nero è il risultato dell'essiccazione delle bacche raccolte non ancora mature dall'albero Piper Nigrum e risulta maggiormente piccante al palato. Per ottenere il pepe bianco, più aromatico e meno pungente, la bacca viene portata a completa maturazione finché non diventa rossa. 

Completato l'excursus storico di questa pianta così richiesta nell'antica Roma e prepotentemente usata ai giorni nostri, non rimane altro da fare che dedicarci alla regina delle ricette che appartiene alla tradizione romanesca e della quale è la degna protagonista. Gli spaghetti alla Carbonara.

Dopo aver rosolato il guanciale e preparato a parte l'uovo sbattuto con abbondante pepe e parmigiano reggiano, scoliamo la pasta al dente e mantechiamo il tutto.

Buon appetito!